Coniugi e società di fatto: quando scatta davvero il recesso?



La sentenza della Cassazione del 3 novembre 2025 (n. 29036) affronta un tema che nella pratica capita più spesso di quanto si pensi: la società di fatto tra coniugi e, soprattutto, come e da quando si considera esercitato il recesso, con tutte le conseguenze su quota e utili.

La vicenda

Marito e moglie sposati nel 1969, separati nel 2000.
Al centro della controversia, una farmacia formalmente intestata al marito, ma nella quale la moglie aveva lavorato per anni.

Il Tribunale riconosce che tra i due esisteva una società di fatto e attribuisce alla moglie:

  • una quota del 50%,
  • gli utili non percepiti dal 1996 al 2009.

La Corte d’Appello conferma l’esistenza della società (su questo si forma giudicato interno), ma compie una scelta decisiva: considera l’allontanamento della moglie dalla farmacia, nel 1996, come un evento che determina lo scioglimento della società. Risultato:

  • quota da liquidare al valore del 1996 (€ 946.188,58),
  • niente utili successivi.

La moglie ricorre in Cassazione. E fa bene.

Il nodo giuridico

La Corte d’Appello aveva inquadrato la vicenda come scioglimento ex art. 2272 n. 2 c.c., per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

Una scelta che non regge per due motivi:

  1. se l’azienda continua a macinare utili, l’oggetto sociale è tutt’altro che impossibile;
  2. la domanda non era affatto diretta allo scioglimento della società, bensì – in modo tipicamente “da art. 2289 c.c.” – al recesso del socio, con liquidazione della quota e riconoscimento degli utili maturati fino al recesso.

La Cassazione rimette ordine e ricostruisce il quadro in modo molto operativo.

Quando si considera esercitato il recesso?

Qui la sentenza diventa una piccola bussola pratica.

Il recesso è un atto unilaterale e recettizio.
Serve dunque una manifestazione di volontà che arrivi all’altra parte.

Nel caso concreto, la Cassazione individua un momento preciso: la notifica dell’atto di citazione del 15 gennaio 2003.

Da quel giorno:

  • la moglie cessa di essere socia,
  • la quota va liquidata al valore del 2003,
  • spettano gli utili maturati dal 1996 al 2003, salvo eventuali correzioni legate al minore apporto dovuto al distacco operativo.

Nessun “congelamento” al 1996, dunque: la fotografia è quella della data del recesso, non dell’ultimo giorno di lavoro.

 

FAQ – Le domande tipiche dei clienti (e dei consulenti)

1. Se il coniuge smette di lavorare nell’impresa, perde automaticamente la qualità di socio?
No. La qualità di socio non evapora per il solo allontanamento. Cessa solo con il recesso o con il vero scioglimento della società.

2. Il recesso deve essere comunicato con una lettera formale?
Può esserlo, ma non è l’unica strada: la Cassazione ribadisce che anche la notifica dell’atto di citazione che chiede la liquidazione della quota integra un valido recesso.

3. Gli utili spettano fino a quando?
Fino alla data in cui il recesso diventa efficace. Nel caso esaminato: fino al 2003.

4. Il valore della quota va calcolato alla data dell’allontanamento?
No. Va calcolato alla data del recesso, perché è quello il momento che segna la cessazione del rapporto sociale.

5. La società di fatto tra coniugi è difficile da dimostrare?
Serve la prova di:

  • apporto stabile e significativo di entrambi,
  • comunione di intenti nella gestione,
  • partecipazione al rischio d’impresa.
    La mera collaborazione familiare non è sufficiente.

Avv. Francesco Frigieri

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